giovedì 31 dicembre 2009
Dalla Settimana Enigmistica: "RITRATTO STORICO"
"Attrice austriaca, all'età di 18 anni destò scalpore apparendo senza vestiti nel film Estasi, del 1933." (il primo nudo integrale nella storia del cinema). "Dopo lo scandalo, i genitori le fecero sposare un mercante d'armi. Durante l'occupazione nazista del suo Paese visse in un castello sotto stretta sorveglianza, ma poi riuscì a fuggire mettendo un sonnifero nel caffè dei guardiani. Raggiunti gli Stati Uniti, si adoperò per contrastare il nazismo e divenne una diva di Hollywood.
Chi è?"
L'intrigante, affascinante donna è HEDY LAMARR, diventata famosa non solo per le gesta epiche e rocambolesche raccontate dalla Settimana Enigmistica, ma anche per una scoperta scientifica catalogata come "Brevetto n. 2.292.387". Secondo quanto raccontato da Wikipedia, "La scoperta fondamentale di Lamarr/Antheil fu che la trasmissione di onde radio poteva essere fatta rimbalzare da un canale all'altro a intervalli di tempo regolari in una sequenza di successione dei canali che fosse nota soltanto alle fonte di trasmissione ed al ricevitore."
Il contributo scientifico della coppia Lamarr/Antheil non suscitò l'interesse della Difesa americana; pertanto il desiderio di sostenere la guerra contro il nazismo della Lamarr fu dirottato verso l'altro suo talento, la sua incredibile bellezza: accettò l'invito a raccogliere fondi offrendo un bacio a chi avesse sottoscritto almeno 25 mila dollari di obbligazioni. Secondo i gossip dell'epoca avrebbe racimolato in una sola serata 7 milioni di dollari.
Grafologicamente i due talenti, recitazione e ricerca scientifica, sono notoriamente agli antipodi, dato che è richiesto il calibro medio-grande nel primo caso e il medio-piccolo nel secondo.
La grafia di Hedy Lamarr si colloca decisamente nel calibro grande, che procede all'insegna della fluidità e della spigliatezza; appena percepibile nel contesto quel lieve accartocciamento. Ottima combinazione per la sua vita avventurosa e per il suo sentimento grandioso e ottimistico. Mentre non appare la disposizione alla ricerca scientifica, proprio per le stesse ragioni: il calibro grande porta ad un'osservazione del mondo che trascura i dettagli e l'eccessiva fluidità porta a sorvolare sulle contraddizioni.
AUGURI A TUTTI PER UN INTRIGANTE 2010!
domenica 29 novembre 2009
Quando la coppia scoppia: "Revolutionary Road", di Richard Yates
Nonostante il grande talento dei due interpreti, Leonardo di Caprio e Kate Winslet, il film non rende neanche in minima parte la complessità psicologica della coppia analizzata da Richard Yates nel romanzo "Revolutionary Road".
Anzi, pensando alle dinamiche descritte in dettaglio, non si può fare a meno di chiedersi: chi ha dato a quest'uomo tutta questa lucidità, ma soprattutto dove ha trovato il coraggio (o l'incoscienza) di mettere a nudo se stesso in questo modo?
Il motivo psicologico che sostiene tutta la trama narrativa della storia è il bisogno di Frank, il protagonista, di creare un'immagine mentale di sé che susciti l'ammirazione della donna. E tutto il suo pensare quotidiano è rivolto a trasformare ogni singolo episodio della sua vita in qualcosa di "eroico" da offrire a lei, in modo che lei ricambi, o confermi, questa immagine.
Il sottotitolo del libro potrebbe essere quello di un famoso libro di sociologia, "La vita quotidiana come rappresentazione": l'unica motivazione reale in lui appare questo suo bisogno di riconoscimento di sé tramite lo sguardo che il femminile poggia su di lui, esattamente come il suo tormento nasce quando vede invalidato o rifiutato il suo impianto narrativo.
La risposta della donna a questo bisogno dell'uomo è anche questo un classico: spesso sostiene la visione eroica offerta dall'uomo, ma qualche volta il gioco non funziona perché nasce in lei uno sguardo di fastidio nei confronti di ciò che lui le sta mostrando, che spaventa lei per prima per l'intensità della risposta emotiva di rifiuto. In mezzo un vuoto non solo di comunicazione, ma proprio di comprensione, rispetto a sé e rispetto all'altro: cosa sta succedendo tra l'uomo e la donna, quali sono le dinamiche in atto in questa alternanza emotiva che - a lungo andare - travolge i due protagonisti. Sembra una specie di remake del famoso romanzo di Tolstoj, "La sonata a Kreutzer", con la stessa disperazione come sottofondo.
Ma la scrittura di Yates, a differenza di quella di Tolstoj, non si basa sulla combinazione data da Curva-Fluida-Attaccata, ma sulla ricerca di un movimento essenziale, dato dalla combinazione Slanciata contenuta-Parca, che si innesta su una triplice larghezza sopra media: una personalità in grado di spogliare gli eventi della parte accessoria, in modo da mettere a nudo quello che viene letto come il nucleo essenziale, portatore di significato, per entrambi, in un impianto narrativo e strutturale estremamente rigoroso.
Anzi, pensando alle dinamiche descritte in dettaglio, non si può fare a meno di chiedersi: chi ha dato a quest'uomo tutta questa lucidità, ma soprattutto dove ha trovato il coraggio (o l'incoscienza) di mettere a nudo se stesso in questo modo?
Il motivo psicologico che sostiene tutta la trama narrativa della storia è il bisogno di Frank, il protagonista, di creare un'immagine mentale di sé che susciti l'ammirazione della donna. E tutto il suo pensare quotidiano è rivolto a trasformare ogni singolo episodio della sua vita in qualcosa di "eroico" da offrire a lei, in modo che lei ricambi, o confermi, questa immagine.
Il sottotitolo del libro potrebbe essere quello di un famoso libro di sociologia, "La vita quotidiana come rappresentazione": l'unica motivazione reale in lui appare questo suo bisogno di riconoscimento di sé tramite lo sguardo che il femminile poggia su di lui, esattamente come il suo tormento nasce quando vede invalidato o rifiutato il suo impianto narrativo.
La risposta della donna a questo bisogno dell'uomo è anche questo un classico: spesso sostiene la visione eroica offerta dall'uomo, ma qualche volta il gioco non funziona perché nasce in lei uno sguardo di fastidio nei confronti di ciò che lui le sta mostrando, che spaventa lei per prima per l'intensità della risposta emotiva di rifiuto. In mezzo un vuoto non solo di comunicazione, ma proprio di comprensione, rispetto a sé e rispetto all'altro: cosa sta succedendo tra l'uomo e la donna, quali sono le dinamiche in atto in questa alternanza emotiva che - a lungo andare - travolge i due protagonisti. Sembra una specie di remake del famoso romanzo di Tolstoj, "La sonata a Kreutzer", con la stessa disperazione come sottofondo.
Ma la scrittura di Yates, a differenza di quella di Tolstoj, non si basa sulla combinazione data da Curva-Fluida-Attaccata, ma sulla ricerca di un movimento essenziale, dato dalla combinazione Slanciata contenuta-Parca, che si innesta su una triplice larghezza sopra media: una personalità in grado di spogliare gli eventi della parte accessoria, in modo da mettere a nudo quello che viene letto come il nucleo essenziale, portatore di significato, per entrambi, in un impianto narrativo e strutturale estremamente rigoroso.
sabato 26 settembre 2009
"William Golding: tentato abuso su una minorenne"
da "Repubblica" — 17 agosto 2009 pagina 35 sezione: CULTURA
"LONDRA - Il romanziere inglese William Golding, autore del Signore delle mosche, tentò di abusare sessualmente di una 15enne: la rivelazione, è contenuto nei diari dello scrittore morto nel 1993 e rimasti inediti, nei quali cercava di spiegare alla moglie Ann i motivi del suo carattere «mostruoso». I particolari sono in una biografia curata da John Carey, professore di Letteratura Inglese a Oxford che ha avuto accesso all' archivio. Premio Nobel per la Letteratura nell' 83 Golding incontrò Dora, questo il nome della ragazza, quando entrambi frequentavano un corso di musica a Marlborough, nel Wiltshire. Lui aveva circa 16 anni e lei 13 ma il tentativo di violenza carnale avvenne due anni più tardi, durante il primo anno a Oxford. Golding sostenne di essere stato provocato durante una passeggiata, diversa la versione della ragazza, costretta a difendersi e a fuggire."
Devo dire che, essendo io sempre a caccia di conferme/ sconferme grafologiche, la notizia sembrava ghiotta: chissà quale sarà mai la scrittura di questo 'violentatore'!
E qui bisogna proprio ringraziare, una volta per tutte, il sito historyforsale, che tante volte mi ha permesso di vedere scritture, altrimenti introvabili.
Devo dire che la sorpresa è stata grande: è vero che di norma gli scrittori hanno, in grande maggioranza, un buon livello di fluidità, ma qui la combinazione è enormemente arricchita da un Sinuosa ad altissimi livelli. Qui abbiamo un vero genio psicologico, rarissimo da trovare, in grado di cogliere le più sottili sfumature che appartengono al cuore umano. E allora?
Allora viene da pensare che sia stata la grande ricchezza e delicatezza psicologica di Golding a suggerirgli questa autoaccusa, perché magari ha capito che il sesso tra uomini e donne è qualcosa che molto facilmente viene vissuto dalla donna come 'violento'.
Certo che quello che lui chiama "carattere mostruoso", grafologicamente risulta di una straordinaria bellezza.
lunedì 31 agosto 2009
Vaticano S.p.A. - Angelo Caloia
Nel 1989 dopo Marcinkus arriva alla presidenza dello IOR Angelo Caloia, considerato un galantuomo della finanza bianca. Con lui molte cose dentro lo IOR cambiano, altre no.
Il ruolo di bonificatore dello IOR affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei primi anni, come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Gali, autore del libro 'Finanza Bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus dello IOR - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporto con tutta la Roma che contava, politica e mondana."
Pare che i contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, siano stati frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo IOR istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".
Il programma di trasparenza finanziaria procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello IOR venga evocata in numerosissimi scandali finanziari degli ultimi vent'anni (argomento del libro "Vaticano S.p.A.)
Nel libro di G. Nuzzi, Vaticano S.p.A., Angelo Caloia ne esce egregiamente, anche se con l'ingrato compito di colui che tarpa le ali alla finanza creativa.
Dal punto di vista grafologico, la scrittura di Caloia indica notevole disposizione alla precisione materiale, per l'equilibrio che presenta tra la larghezza di lettere (5/10) e la larghezza tra lettere (pure 5/10), in un contesto di chiarezza e di accuratezza spontanea, senza indici di manipolazione della sostanza delle cose per farle sembrare più accettabili. Niente giochetti psicologici, come nel caso di De Bonis, ma solo una concretezza vigile.
Certo è un uomo buono (Curva), anche se non un ingenuo, perché il segno dominante Curva è ben integrato dagli Angoli A e B, prevalentemente sotto i 5/10.
domenica 26 luglio 2009
VATICANO S.p.A.: monsignor Donato de Bonis
Oltre a una dettagliata descrizione delle spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza operate all'interno dello IOR, il libro di Giancarlo Nuzzi, "Vaticano SpA" presenta la scrittura di uno dei principali artefici, nella persona di monsignor Donato de Bonis.
Tra il 1989 e il 1993, De Bonis opera sui conti segreti dello IOR movimentando complessivamente circa 310 miliardi di lire, come risulta da un rapporto che Angelo Caloia nell'agosto del 1992 invia a papa Wojtyla.
Secondo Gianluigi Nuzzi, «Lo IOR parallelo ha così gestito non solo risparmi ma anche tangenti per conto terzi negli anni Novanta, assegni per i palazzi Vaticano finiti al cardinale Castillo Lara, soldi sottratti dalle somme che i fedeli lasciavano per le messe per i defunti, depositi per 30-40 miliardi di lire delle suore che lavoravano nei manicomi, sino ai conti correnti di imprenditori come i Ferruzzi, segretari dei papi come monsignor Pasquale Macchi, e soprattutto, di politici, a cominciare dall'allora presidente del consiglio Giulio Andreotti e di Ciancimino»
La scrittura di monsignor Donato de Bonis è di quelle che, se non ci fossero, bisognerebbe inventarle, nel senso che la realtà grafologica corrisponde in modo veramente sottile alla complessa realtà psicologica del personaggio, così come emerge dai fatti molto sinteticamente riassunti sopra: da una parte un movimento di insinuazione ad alto livello (Sinuosa), e dall'altra un egoismo che non lascia scampo. Le due tendenze psicologiche, altruismo manifesto ed egoismo nascosto, danno vita a quello che Moretti ha chiamato segno Flessuosa, indice di menzogna e di tergiversare insincero.
Il segno Sinuosa "Per parte dell’intelletto indica la finezza del soggetto nel penetrare l’anima altrui. Per parte della volontà indica la profonda sensibilità, per cui il soggetto è munito di compatimento attivo e di dolcezza, cioè sa leggere e valutare tutte le finezze dell’anima altrui. Per questo la scrittura Sinuosa è indice di abilità per la psicologia, la psichiatria, la psicanalisi, la medicina e per tutte quelle facoltà che si dirigono a scrutare l’anima umana.
E’ indice di penetrazione dell’arte, di una parola nello stesso tempo delicata e forte, secondo che lo richiedono le circostanze. Insomma è indice di tutto ciò che si racchiude sotto il concetto di insinuazione artistica, intellettiva e morale.
Si può dire che sia l’ideale della bellezza grafologica.
Coloro che hanno Sinuosa possono fare tanto del male come possono fare tanto del bene. E questo perché riescono ad impadronirsi del cuore umano." (T, 249)
Ciò che non ci sia aspetterebbe, in questo contesto grafologico curvo e malleabile, è l'intensità degli Angoli A e B, che qui raggiungono almeno i 7/10, segnalando in questo caso la presenza di un notevole livello di attivazione delle difese dell'Io.
Come scrive Moretti, quando l'Angolo A si presenta sopra i 5/10,"l’io nulla lascerà di intentato per prevalere e per mettere da parte il prossimo non soltanto in quello che è richiesto dall’altruismo, ma persino in quello che è richiesto dalla semplice giustizia." (Att, 10) Per quanto riguarda gli Angoli B,"Coloro che sono investiti di autorità e hanno gli Angoli B sopra i 5/10 tendono prepotentemente ad abusare della loro autorità."(Att, 10)
Si tratta di un movimento psicologico che corrisponde esattamente a quello grafico: insinuazione morbida, benevola, al fine di creare alleanze che soddisfino la struttura terrena dell'Io.
Non facilmente contenibile, guardando la scrittura, risulta anche l'istinto sessuale. (Aperture capo A-O)
martedì 23 giugno 2009
La conturbante, sensuale Sarah Bernhardt
"La vita scandalosa e l’immenso successo della Bernhardt affascinavano tutti. Aveva passato da poco la trentina e stava per diventare una leggenda e un feticcio. […]
I giornalisti telegrafavano nei paesi stranieri le notizie che la riguardavano.
I romanzieri […] ispiravano a lei le loro eroine, i pittori esponevano i suoi ritratti.
Il pubblico, esaltato da un personaggio che poteva idolatrare e criticare, seguiva ogni sua mossa […]
Le sue crisi di rabbia […] erano considerate magistrali, la sua arroganza regale, la sua promiscuità il diritto divino delle regine."
(tratto da A.GOLD E R. FIZDALE, La divina Sarah. Vita di Sarah Bernhardt, Milano, Mondadori, 1992)
"Rappresenta tutte le passioni primordiali della donna, ed è estremamente affascinante. Una donna simile io potrei amarla, amarla alla follia, anche solo di una pura passione sfrenata. […] Quando penso a lei, sento ancora nel petto il peso che vi ha gravato per giorni e giorni dopo che l’ho vista." Era il 1908 quando il ventitreenne David Herbert Lawrence, dopo aver visto Sarah Bernhardt recitare nella Signora delle camelie, scrisse tali parole che bene testimoniano del suo turbamento di giovane maschio di fronte alla sensualità prorompente della Divina. Se non si tiene ben conto della data, il 1908, appunto, l’affermazione dell’autore de L’amante di Lady Chatterley potrebbe essere recepita come un bell’apprezzamento con un pizzico di esagerazione quando egli afferma di essere rimasto sconvolto per giorni a causa di quel turbamento. Partendo, invece, proprio dalla data, si rimane sbalorditi di fronte alla dichiarazione di Lawrence, in quanto nel 1908 la Bernhardt aveva 64 anni (essendo nata a Parigi nel 1844). Ecco, allora, che si disegna davanti agli occhi l’immagine di una donna che, nonostante l’età, al di là, si vorrebbe dire, dell’età, era in grado di indossare le vesti della donna fatale, del fascino femminile, della quintessenza della sensualità.
A ciò si aggiunga che la Bernhardt non affascinava gli spettatori soltanto con la forza della propria bellezza, ma anche con il suo personale modo di stare in scena che – contrariamente ai canoni recitativi dell’epoca, basati soprattutto sulla perfetta dizione – coinvolgeva tutto il corpo; da voce si faceva gesto: «[…] le sue lusinghe, le implorazioni, gli abbracci: è incredibile quali pose sa assumere e in quale modo ogni arto, ogni giuntura del suo corpo recita con lei.»[2] aveva scritto nel 1885 un ventinovenne Sigmund Freud di una quarantunenne Sarah Bernhardt.
(tratto da un articolo di Danilo Ruocco,pubblicato su www.divismo.it/IDivi/Bernhardt/tabid/65/Default.aspx)
Ruocco, nel suo articolo, ricorda che la Bernhardt ebbe numerose relazioni con uomini ricchi e potenti, che le facilitarono l'ascesa. L'interesse della precisazione, però, è dovuta al fatto che la sua intensa vita sessuale viene messa in relazione con il suo particolare modo di recitare. "Ci si potrà ora chiedere il perché, per spiegare la differenza esistente tra le “pose” degli attori francesi e quelle della Bernhardt, si sia ricordato che la Divina fu anche prostituta. La ragione sta nel fatto che si suppone che l’uso del corpo fatto da Sarah durante la vita da cortigiana, influenzò l’uso del corpo fatto dalla Bernhardt in scena. Un corpo sinuoso, sensuale, si vorrebbe dire spudoratamente al centro dell’attenzione, pronto, anche, ad assume pose conturbanti. Tale era il corpo di Sarah Bernhardt, cortigiana e attrice. Le “pose” plastiche degli attori tragici francesi, frutto, anche, della tradizione interpretativa stratificatasi su una data parte, non erano, evidentemente, assimilabili alle “pose” di Sarah, frutto, invece, del suo modo personale di avvicinarsi alla parte da interpretare."
Dal punto di vista grafologico, qui regna incontrastato il segno Profusa, vale a dire il sentimento che si espande senza alcuna misura. Corrisponde alla negazione totale di ogni forma di razionalità, di tecnica, o anche di semplice capacità di posticipare o di calibrare l'azione in vista di un fine. Scrive Moretti: "è il segno dell’espansione ... si tratta di tendenza, di processo incosciente. Il sentire è la principale funzione psichica dell’espansivo ... e può essere seguita o no dal pensare" (Att, 120). Il segno "è indice della tendenza alla affettività che si riversa sugli altri ... Siccome questa affettività non è ordinariamente controllata dalla ragione, dalla logica, ne viene che l’espansivo porta con sé la maggiore labilità affettiva. Direi che l’espansivo si accomoda a tutte le forme dell’affettività e di conseguenza può passare dall’intensità di una alla intensità di un’altra. Per questo ha la disposizione ad internarsi in queste intensità e a rievocarle e a riprodurle nella fantasia per mezzo dell’introspezione. Ecco perché il segno Profusa è il segno della novellistica, del romanticismo." (Att, 121)
I giornalisti telegrafavano nei paesi stranieri le notizie che la riguardavano.
I romanzieri […] ispiravano a lei le loro eroine, i pittori esponevano i suoi ritratti.
Il pubblico, esaltato da un personaggio che poteva idolatrare e criticare, seguiva ogni sua mossa […]
Le sue crisi di rabbia […] erano considerate magistrali, la sua arroganza regale, la sua promiscuità il diritto divino delle regine."
(tratto da A.GOLD E R. FIZDALE, La divina Sarah. Vita di Sarah Bernhardt, Milano, Mondadori, 1992)
"Rappresenta tutte le passioni primordiali della donna, ed è estremamente affascinante. Una donna simile io potrei amarla, amarla alla follia, anche solo di una pura passione sfrenata. […] Quando penso a lei, sento ancora nel petto il peso che vi ha gravato per giorni e giorni dopo che l’ho vista." Era il 1908 quando il ventitreenne David Herbert Lawrence, dopo aver visto Sarah Bernhardt recitare nella Signora delle camelie, scrisse tali parole che bene testimoniano del suo turbamento di giovane maschio di fronte alla sensualità prorompente della Divina. Se non si tiene ben conto della data, il 1908, appunto, l’affermazione dell’autore de L’amante di Lady Chatterley potrebbe essere recepita come un bell’apprezzamento con un pizzico di esagerazione quando egli afferma di essere rimasto sconvolto per giorni a causa di quel turbamento. Partendo, invece, proprio dalla data, si rimane sbalorditi di fronte alla dichiarazione di Lawrence, in quanto nel 1908 la Bernhardt aveva 64 anni (essendo nata a Parigi nel 1844). Ecco, allora, che si disegna davanti agli occhi l’immagine di una donna che, nonostante l’età, al di là, si vorrebbe dire, dell’età, era in grado di indossare le vesti della donna fatale, del fascino femminile, della quintessenza della sensualità.
A ciò si aggiunga che la Bernhardt non affascinava gli spettatori soltanto con la forza della propria bellezza, ma anche con il suo personale modo di stare in scena che – contrariamente ai canoni recitativi dell’epoca, basati soprattutto sulla perfetta dizione – coinvolgeva tutto il corpo; da voce si faceva gesto: «[…] le sue lusinghe, le implorazioni, gli abbracci: è incredibile quali pose sa assumere e in quale modo ogni arto, ogni giuntura del suo corpo recita con lei.»[2] aveva scritto nel 1885 un ventinovenne Sigmund Freud di una quarantunenne Sarah Bernhardt.
(tratto da un articolo di Danilo Ruocco,pubblicato su www.divismo.it/IDivi/Bernhardt/tabid/65/Default.aspx)
Ruocco, nel suo articolo, ricorda che la Bernhardt ebbe numerose relazioni con uomini ricchi e potenti, che le facilitarono l'ascesa. L'interesse della precisazione, però, è dovuta al fatto che la sua intensa vita sessuale viene messa in relazione con il suo particolare modo di recitare. "Ci si potrà ora chiedere il perché, per spiegare la differenza esistente tra le “pose” degli attori francesi e quelle della Bernhardt, si sia ricordato che la Divina fu anche prostituta. La ragione sta nel fatto che si suppone che l’uso del corpo fatto da Sarah durante la vita da cortigiana, influenzò l’uso del corpo fatto dalla Bernhardt in scena. Un corpo sinuoso, sensuale, si vorrebbe dire spudoratamente al centro dell’attenzione, pronto, anche, ad assume pose conturbanti. Tale era il corpo di Sarah Bernhardt, cortigiana e attrice. Le “pose” plastiche degli attori tragici francesi, frutto, anche, della tradizione interpretativa stratificatasi su una data parte, non erano, evidentemente, assimilabili alle “pose” di Sarah, frutto, invece, del suo modo personale di avvicinarsi alla parte da interpretare."
Dal punto di vista grafologico, qui regna incontrastato il segno Profusa, vale a dire il sentimento che si espande senza alcuna misura. Corrisponde alla negazione totale di ogni forma di razionalità, di tecnica, o anche di semplice capacità di posticipare o di calibrare l'azione in vista di un fine. Scrive Moretti: "è il segno dell’espansione ... si tratta di tendenza, di processo incosciente. Il sentire è la principale funzione psichica dell’espansivo ... e può essere seguita o no dal pensare" (Att, 120). Il segno "è indice della tendenza alla affettività che si riversa sugli altri ... Siccome questa affettività non è ordinariamente controllata dalla ragione, dalla logica, ne viene che l’espansivo porta con sé la maggiore labilità affettiva. Direi che l’espansivo si accomoda a tutte le forme dell’affettività e di conseguenza può passare dall’intensità di una alla intensità di un’altra. Per questo ha la disposizione ad internarsi in queste intensità e a rievocarle e a riprodurle nella fantasia per mezzo dell’introspezione. Ecco perché il segno Profusa è il segno della novellistica, del romanticismo." (Att, 121)
giovedì 28 maggio 2009
David H. Lawrence: eros tra una gentildonna e un guardiacaccia
Furiose le polemiche e gli scandali scatenati da "L'amante di Lady Chatterley", l'opera più famosa di D.H. Lawrence (1885-1930) a causa della franchezza con cui viene descritta la vita sessuale dei personaggi. Sia ben chiaro: non è pornografia, ma passione erotica, ricca di sensualità. Comunque il romanzo provocò infinite noie all'autore, tanto che fu indotto a scrivere, nel marzo del 1929, un pamphlet esplicativo dal titolo "A proposito dell'amante di Lady Chatterley".
Resta interessante il modo in cui Lawrence espone la sua visione religiosa della sessualità e la sua concezione mistica della sensualità, che rispecchia efficacemente la rivolta della sua generazione contro l'epoca vittoriana. Per questo è stato considerato un profeta e mistico del sesso con quasi mezzo secolo di anticipo sui figli dei fiori.
A quanti hanno letto il romanzo, non stupirà scoprire che sì, ovviamente, oltre al segno Sinuosa, ben visibile è il segno grafologico "Apertura Capo A-O", indice, secondo Moretti, "della disposizione a quella abilità di intenerimento che serve per comprendere tutte quelle cose che sono dirette alla eccitazione del senso atto a risvegliare l’attività erotica". (Att, 118)
"Questo segno, intellettivamente considerato, viene a partecipare delle bellezze del segno Disuguale metodicamente, in quanto che, esaminandosi per mezzo dell’introspezione, sa trovare tutte le variazioni dell’intenerimento sessuale, da cui scaturiscono non poche delle invenzioni dell’intelligenza umana." (Att, 71)
lunedì 27 aprile 2009
Il contestato Premio Nobel al portoghese Egas Moniz
"Il punto di vista della comunità scientifica può variare nel tempo, e anche la validità di un premio Nobel può essere messa in discussione alla luce dei mutamenti nel comune sentire della società. Così è stato per la figura e l'opera dello psichiatra e neurochirurgo portoghese Egas Moniz (1874-1955), vincitore nel 1949 del Premio Nobel per la medicina (insieme al fisiologo svizzero Waletr Rudolf Hess ...) 'per la sua scoperta del valore terapeutico in alcune psicosi della leucotomia': pratica più nota come lobotomia e non certo universalmente considerata, al giorno d'oggi, degna di un così alto riconoscimento." (1)
La leucotomia prefrontale, ideata da Egas Moniz, venne poi modificata dai chirurghi statunitensi in lobotomia vera e propria, con la recisione di un numero maggiore di fibre nervose.
Venne usata come approccio chirurgico alla cura radicale di svariati tipi di malattie mentali, diventando negli anni sessanta il simbolo dell'orrore di certi trattamenti psichiatrici.
Oggi la lobotomia è unanimamente considerata un'inutile barbarie tanto che sono in molti quelli che vorrebbero revocare il Nobel a Moniz. Tra questi, i parenti di alcune vittime; prima fra i tanti Christine Johnson, che sul sito web Psychosurgery ha lanciato una campagna proprio a tale scopo.
Ma non si può. Una volta assegnato, il Nobel non può essere tolto.
L'opinione pubblica cominciò a schierarsi contro la lobotomia anche sull'onda dell'emozione suscitata da casi celebri, come quello di Rosemary Kennedy, sorella di John e Robert, e della sorella di Tennessee Williams, a cui l'Autore dedicò "Improvvisamente l'estate scorsa"; oppure ancora del libro denuncia di Ken Kesey "Qualcuno volò sul nido del cuculo".
Rosemary Kennedy fu sottoposta ad una lobotomia all'età di 22 anni, quando suo padre si lamentò con i medici degli sbalzi di umore della figlia e dell'interesse che ella aveva per i ragazzi. Il padre, inoltre, nascose l'operazione al resto della famiglia. L'intervento ridusse Rosemary ad uno stadio cerebralmente infantile, divenne incontinente e trascorreva ore a fissare le pareti. Le sue abilità verbali si ridussero a parole senza senso.
Decine di migliaia di pazienti furono lobotomizzati prima che la scoperta degli psicofarmaci riuscisse a mandare in pensione questo drastico atto 'medico'.
Grafologicamente la firma presenta i due segni che Moretti individuava come il 'male' dell'uomo, inteso proprio come quel nucleo di egoismo egocentrico che non può che seminare distruzione intorno a sè: il segno Angolosa (Angoli A e B appuntiti), indice di egoismo, e il segno Intozzata I modo sopra media, indice di prepotenza e di insensibilità. Una combinazione assolutamente contraria alla scienza, ma presente in tutti quegli uomini, intesi proprio come genere maschile, che credono sia questo l'atteggiamento giusto per dominare la materia, ritenuta rozza e brutale (mentre la rozzezza e la brutalità sono proiezioni di qualità interiori).
1. da un articolo di Francesco Cro, pubblicato sull'inserto di Repubblica "Salute", n.620 del 23.04.09, p. 41.
domenica 22 marzo 2009
Maurice Ravel, un talento afasico
Secondo quanto pubblicato nel sito di "Le Scienze" (1) e dalla rivista "Mente e Cervello" (2), il compositore era affetto da afasia progressiva primaria e da una degenerazione corticobasale.
Pare che nella sua ultima e più famosa opera, il Bolero, portata a termine nel 1928, Maurice Ravel sia stato molto più influenzato dal deterioramento della parte sinistra del suo cervello, piuttosto che dalla vena artistica.
"Nel brano si alternano due temi melodici principali, che si ripetono otto volte per 340 battute, in un graduale e continuo crescendo, dal pianissimo iniziale fino al travolgente finale, per un totale di 18 sequenze musicali (nove ripetizioni del tema A e nove del tema B). In parallelo, si basa su due semplici linee di basso staccato (l'accompagnamento ritmico del tamburo) che si alternano l'una con l'altra. Il Bolero è stato definito un esercizio di compulsività di struttura e anche di perseverazione: non cambia infatti fino alla 326° battuta, quando improvvisamente accelera. (2)
"Il Bolero contiene di fatto solo due temi, ognuno ripetuto 30 volte, ma ha anche 25 diverse combinazioni di suoni. Ravel stesso lo descrisse come «un tessuto orchestrale senza musica.» Ovviamente, discriminare tra l'evoluzione della malattia e lo sviluppo artistico è molto difficile." (1)
"La malattia di Ravel potrebbe essere incominciata in forma asintomatica proprio in quel periodo, in cui i suoi manoscritti mostrano segni di deterioramento." (2)
Deborah Mawer, della Lancaster University ricorda, infine, che alla fine della sua vita Ravel si interessò di meccanizzazione, e questo potrebbe spiegare la ripetitività del Bolero. (1)
Dalla documentazione grafologica reperita (due sottoscrizioni risalenti al 1925 e una cartolina del 1928), la personalità di Ravel appare incredibilmente sostenuta dal punto di vista tecnico, e pochissimo dal punto di vista musicale, anche se con una notevole differenza tra firma e testo. Le tre firma, sicuramente autografe, si
presentano coerenti nella strettezza di lettere e tra lettere, molto frammentate e rigidamente staccate, oltre che caratterizzate da strani allunghi rettilinei sotto il rigo di base. Tutto si direbbe, tranne che la scrittura di un musicista.
Il testo che compare nella cartolina, apparentemente della stessa mano, pur sempre tracciato con lettere staccate e con una notevole strettezza, si presenta però più spigliato, non privo di disuguaglianze e con una certa variabilità nell'inclinazione, tutte caratteristiche che danno un po' di respiro a quel tecnicismo pignolo che compare nelle firme.
Se tutto il materiale è di mano di Ravel, interessante sarebbe cercare di capire perché, in questo caso, contro ogni principio peritale, l'artista dimostri maggiori difficoltà nel tracciare in modo spontaneo la firma (che di norma essendo maggiormente automatizzata conserva più a lungo gli automatismi basilari anche in caso di malattia) rispetto al testo.
1. Le Scienze, 23 gennaio 2002 (lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Nuove_ipotesi_sulla_demenza_di_Maurice_Ravel/1289533
2. Mente & Cervello, n. 43, luglio 2008, p.58
Pare che nella sua ultima e più famosa opera, il Bolero, portata a termine nel 1928, Maurice Ravel sia stato molto più influenzato dal deterioramento della parte sinistra del suo cervello, piuttosto che dalla vena artistica.
"Nel brano si alternano due temi melodici principali, che si ripetono otto volte per 340 battute, in un graduale e continuo crescendo, dal pianissimo iniziale fino al travolgente finale, per un totale di 18 sequenze musicali (nove ripetizioni del tema A e nove del tema B). In parallelo, si basa su due semplici linee di basso staccato (l'accompagnamento ritmico del tamburo) che si alternano l'una con l'altra. Il Bolero è stato definito un esercizio di compulsività di struttura e anche di perseverazione: non cambia infatti fino alla 326° battuta, quando improvvisamente accelera. (2)
"Il Bolero contiene di fatto solo due temi, ognuno ripetuto 30 volte, ma ha anche 25 diverse combinazioni di suoni. Ravel stesso lo descrisse come «un tessuto orchestrale senza musica.» Ovviamente, discriminare tra l'evoluzione della malattia e lo sviluppo artistico è molto difficile." (1)
"La malattia di Ravel potrebbe essere incominciata in forma asintomatica proprio in quel periodo, in cui i suoi manoscritti mostrano segni di deterioramento." (2)
Deborah Mawer, della Lancaster University ricorda, infine, che alla fine della sua vita Ravel si interessò di meccanizzazione, e questo potrebbe spiegare la ripetitività del Bolero. (1)
Dalla documentazione grafologica reperita (due sottoscrizioni risalenti al 1925 e una cartolina del 1928), la personalità di Ravel appare incredibilmente sostenuta dal punto di vista tecnico, e pochissimo dal punto di vista musicale, anche se con una notevole differenza tra firma e testo. Le tre firma, sicuramente autografe, si
presentano coerenti nella strettezza di lettere e tra lettere, molto frammentate e rigidamente staccate, oltre che caratterizzate da strani allunghi rettilinei sotto il rigo di base. Tutto si direbbe, tranne che la scrittura di un musicista.
Il testo che compare nella cartolina, apparentemente della stessa mano, pur sempre tracciato con lettere staccate e con una notevole strettezza, si presenta però più spigliato, non privo di disuguaglianze e con una certa variabilità nell'inclinazione, tutte caratteristiche che danno un po' di respiro a quel tecnicismo pignolo che compare nelle firme.
Se tutto il materiale è di mano di Ravel, interessante sarebbe cercare di capire perché, in questo caso, contro ogni principio peritale, l'artista dimostri maggiori difficoltà nel tracciare in modo spontaneo la firma (che di norma essendo maggiormente automatizzata conserva più a lungo gli automatismi basilari anche in caso di malattia) rispetto al testo.
1. Le Scienze, 23 gennaio 2002 (lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Nuove_ipotesi_sulla_demenza_di_Maurice_Ravel/1289533
2. Mente & Cervello, n. 43, luglio 2008, p.58
martedì 24 febbraio 2009
L'emancipazione delle donne: Florence Nightingale
Se è vero che ognuno di noi nasce con qualche fissazione, quella di Florence Nightingale (1820-1910) è senza dubbio quella di migliorare il sistema ospedaliero inglese.
Nel suo caso, essendo lei assai ricca di nascita, non bisogna pensare però ad un qualche hobby per passare il tempo, in quanto gli ospedali dell'epoca erano luoghi spaventosi a dir poco: date le pessime condizioni igieniche che li caratterizzano, inevitabilmente erano causa di diffusione di ulteriori orrende malattie infettive, non certo luoghi di terapia. Tra le molte cause del diffondersi di infezioni, vi era anche quella dovuta al fatto che i medici non si lavavano le mani prima di eseguire interventi chirurgici ed entravano in sala operatoria con gli stessi abiti che indossavano per strada. Ovviamente la mortalità intraospedaliera era altissima.
"Nightingale intuisce che per migliorare i risultati dell’assistenza sanitaria britannica era necessario iniziare a lavorare su alcuni concetti fondamentali, quali l’igiene degli ambienti e degli stili di vita, l’organizzazione dei servizi socio-assistenziali e la relazione d’aiuto con i malati. È intorno a questi concetti che riuscirà a costruire le basi per la nascita e lo sviluppo del Nursing. Le idee di Nightingale suscitarono enorme interesse negli ambienti governativi inglesi, grazie alle sue capacità di sostenerle attraverso gli strumenti dell’evidenza scientifica, che all’epoca cominciavano ad assumere grande rilevanza, anche per il diffondersi in Europa del pensiero positivista. Durante la Guerra di Crimea, in cui Inglesi, Francesi e Turchi combatterono contro i Russi, il Governo britannico la nominò sovrintendente del corpo di infermiere degli Ospedali Riuniti inglesi in Turchia. L’ospedale di Scutari aveva migliaia di letti affollati in 6 chilometri di corridoi lunghi e sporchi: era infestato da topi, non c’era acqua ed i bagni intasati traboccavano nelle corsie. Nightingale vi arrivò con 38 infermiere, di cui solo 12 sarebbero sopravvissute. Ella dimostrò che l’alto tasso di mortalità per malattie tra i soldati (42%) era correlato all’inadeguatezza dell’assistenza e, nonostante gli ostacoli frapposti dagli ufficiali medici, che non accettavano questa teoria, potendo contare sui fondi ottenuti da donazioni private, con grande determinazione riuscì a dotare il Barrack Hospital di Scutari di efficienti servizi igienico-assistenziali e di idonee infrastrutture. Il tasso di mortalità scese al 2%. Attraverso il rilievo di queste osservazioni e l’applicazione di modelli matematici, riuscì a dimostrare la fondatezza delle sue teorie..." (L. Lancia e C. Petrucci, in L'infermiere N.4/2005).
Un personaggio di una lucentezza veramente abbagliante, anche se quella percentuale del 2%, così a naso, sembra più agiografica che realistica, senza togliere nulla alla genialità e all'intraprendenza di questa donna.
Nel Venerdì di Repubblica del 4.07.2008 è comparsa una breve recensione di un film tv della Bbc (Florence Nightingale) che presenta una rivisitazione dell'eroina inglese fondatrice dell'infermeria moderna, mettendone in luce altri aspetti: non sarebbe stata un angelo, ma una lady di ferro incline all'errore in quanto, tanto per fare un esempio, per ogni soldato curato molti morivano nell'ospedale da campo allestito, per errore, su un canale fognario. La protagonista del film, l'attrice Laura Frase, e il regista spiegano: "Il film non inventa nulla: è tutto scritto nelle lettere di Florence." "Ma intanto gli inglesi si interrogano sulla fiction: operazione revisionista o voglia di raccontare l'altra metà, meno conosciuta, della storia?"
Il personaggio, a mio avviso, è veramente di enorme interesse per una serie di motivazioni sociologiche, prima ancora che psicologiche.
Innanzitutto, quando troviamo una donna che nell'ottocento agisce con una tale potenza di penetrazione fattiva nel mondo, quasi sempre necessita di notevoli Angoli A; e anche questo caso non fa eccezione.
Sotto un altro punto di vista, anche la sua intensa capacità di reggere il dolore umano senza lasciarsene sopraffare, ha bisogno di grande reattività, vale a dire ancora di Angoli A e B.
Inoltre, in quanto donna, era una figura talmente di rottura per la mentalità corrente (alle donne non era certo consentito di occuparsi di medicina) nella sua pretesa di voler imporre ai medici (maschi) di cambiare il loro comportamento per rispettare delle norme igieniche, che non possiamo neanche supporre, a livello di personalità, che non fosse ampiamente supportata, nella sua capacità di resistere, dagli Angoli A e B sopra media.
Circa gli errori di cui è imputata dalla critica storica più recente, la grafologia potrebbe dire solo questo: l'attivazione della personalità è al massimo livello. In questo senso non c'era distrazione, incuria, superficialità o trascuratezza nel suo modo di agire. Inoltre anche l'intuizione si presenta ben attivata e originale (Disuguale metodicamente), unita a grandissime capacità empatiche (Sinuosa, Pendente).
Certo, il rigore scientifico non poteva essere il suo forte (eccessivi angoli, eccessiva pendenza), e questo rende ragione anche di quel poco credibile "2%", in quanto oggettivamente era impossibile, al di là della buona volontà e delle massime capacità dispiegate, portare la mortalità dell'epoca, per di più in condizioni di guerra, a valori così bassi (prova ne è l'altissima percentuale di mortalità che ha investito le infermiere che l'hanno accompagnata in Crimea).
venerdì 30 gennaio 2009
Keplero (1571-1630) e la fine dell'armonia delle sfere
Keplero, dopo sei anni di studi meticolosi sull'orbita di Marte e novemila grandi pagine di calcoli tracciati con la sua scrittura minuta (1) arriva a scoprire che, basandosi sull'ipotesi prevalente delle orbite circolari dei pianeti, si crea una sfasatura di ben otto minuti tra le posizioni di Marte realmente osservate e quelle che Marte avrebbe, invece, dovuto occupare secondo i suoi calcoli.
"... se avessi creduto di poter ignorare quegli otto minuti, avrei accomodato come conveniva la mia ipotesi. Ma poiché non era permesso ignorarli, questi otto minuti indicarono la strada per una completa riforma dell'astronomia ..." (2)
L'episodio degli otto minuti convinse Keplero che il suo problema specifico - l'orbita di Marte - era destinato a restare insolubile, a meno che non si abbandonassero i dogmi dell'astronomia: il moto uniforme, che aveva già scartato, e ora occorreva sbarazzarsi anche del moto circolare.
"La conclusione è assai semplicemente che il tragitto del pianeta non è un cerchio - esso si incurva su due lati e si allarga negli altri due. Tale curva si chiama ovale. L'orbita non è un cerchio ma una figura ovale." (3)
Con l'incredibile modestia che caratterizza certi scienziati, Keplero non si sentiva un eroe nell'aver distrutto il sogno dell' "armonia delle sfere". Anzi, tutto ciò che aveva da dire in sua difesa era:
"Ho pulito le stalle di Augia dell'astronomia dei cicli e delle spirali, e non ho lasciato dietro di me che una carrettata di letame." (4)
Questa carrettata di letame - il moto non uniforme in orbite non circolari - si poteva spiegare e giustificare soltanto con argomenti della fisica, e non della geometria. (5)
P.S. Al momento tutto ciò che ho a disposizione a livello grafologico è la descrizione di "scrittura minuta" (come è facilmente immaginabile).
1-5 Tratto da A. Koestler, L'atto della creazione, Casa Editrice Astrolabio, pagg. 118-119.
domenica 11 gennaio 2009
Galileo Galilei e la fisica sperimentale
"... Galileo è completamente e spaventosamente moderno nella sua filosofia coerentemente meccanicistica. Da qui nasce il suo sprezzante rifiuto, in una sola frase, della spiegazione di Keplero delle maree come dovute all'attrazione della luna". Riferendosi a Keplero, Galileo scrive infatti: "il quale, di ingegno libero e acuto, e che aveva in mano i moti attribuiti alla Terra, abbia poi dato orecchio e assenso a predomini della Luna sopra l'acqua, ed a proprietà occulte, e simili fanciullezze". (1)
A questo proposito, dal punto di vista grafologico si osserva che diversa è la combinazione per la fisica sperimentale e quella teorica.
La capacità di sperimentare pazientemente sui moti del pendolo, sulla caduta libera e sulla discesa dei corpi lungo un piano inclinato e su cento altri problemi esaminati dal grande scienziato, richiede una personalità con molta memoria materiale, tipica della strettezza di lettere e tra lettere, in grado di osservare attentamente tutti i diversi aspetti della materia, comprese le variazioni più sottili che possono avvenire in risposta ai minimi cambiamenti ambientali o sperimentali. Quindi un forte disuguale metodicamente, per l'intuizione molto originale, ma anche la strettezza di lettere e tra lettere, che sostiene perfettamente la personalità nel rigore osservativo, e quindi anche interpretativo: niente concessioni, niente voli mentali, ma fatti, intesi proprio come aggancio materiale. E si può capire perché, per lui, l'idea decisamente astratta per il suo tempo, di una forza (ma quale forza?) che collega la luna alle maree possa risultare eccessivamente mistica per un fisico sperimentale con la sua formazione.
Al contrario la fisica teorica necessita di larghezza di lettere e tra lettere almeno sulla media e di adeguata larghezza tra parole (Newton, ad esempio), per avere una mente attratta dalle formulazioni speculative, razionali e concettuali, oltre che per la capacità di cogliere le contraddizioni interne che possono essere presenti nel sistema teorico elaborato.
1 . Arthur Koestler, L'atto della creazione, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1975, pag. 418
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